La pandemia covid ha mutato le esigenze del lavoratore, sempre più incline ad abbandonare l’ufficio preferendo lo smart working ibrido: l’analisi delle prospettive future conferma un trend sempre in crescita, con l’abbandono della modalità in presenza preferendo da ambo le parti un maggior incremento del remoto
Tra le novità che ha apportato la pandemia covid, ha trovato ampio spazio e consenso un neologismo prima sconosciuto da molti: lo smart working o, in modalità ibrida, lavoro flessibile. Con l’impossibilità di portare avanti le proprie metodologie durante il lockdown, anche il settore dell’impiego ha dovuto evolversi. Peccato, che non avesse assolutamente idea di star apportando mutamenti probabilmente definitivi. Se fino a due anni fa l’82% dei dipendenti lavorava tranquillamente e stabilmente in ufficio, adesso le percentuali sono completamente capovolte. Dodici mesi fa, soltanto il 12% operava in modalità ibrida, persino il 6% da remoto, con il lavoro flessibile che non faceva parte dei piani aziendali. Le prospettive per il prossimo anno sono, a tal riguardo, impressionanti: due dipendenti su cinque lavoreranno in sede, il 42% in presenza, il 35% in modalità ibrida ed il 23% da remoto. Insomma, una controtendenza inaspettata, che deriva anche dagli ultimi risultati che lo stesso smart working ha apportato in tempi brevissimi, a tutta l’economia mondiale, con un aumento della produttività e della qualità in tutti gli ambiti.
La modalità ibrida di Smart Working
Molte aziende valutano di stagione in stagione la formula da adattare, nel rispetto ovviamente anche delle restrizioni anti covid che persistono. Dai dati raccolti, la modalità ibrida e di lavoro flessibile sia remoto che in presenza, tra due anni resterà più diffusa di quella smart working. Un punto d’incontro che sembra mettere d’accordo sia imprenditori che lavoratori, con i primi che stanno già operando un riassestamento della percentuale di dipendenti che lavorano solo da remoto, aumentando quelli in presenza ed ibridi. L’idea è di sfruttare la giornata completa in presenza soltanto per pochi giorni a settimana, lasciando così l’impiegato più libero e nella confort zone casalinga. Non sempre però, la mancanza di lavoro agile è un punto a favore delle aziende ed è proprio per questa ragione che bisogna tener conto di nuove prospettive.
L’espansione del nomadismo digitale
La troppa versatilità lavorativa ha al contempo ampliato la diffusione del nomadismo digitale, il non appartenere a nessun luogo professionale preciso, tendenza che ha investito negli ultimi anni in particolare i giovani freelance ed autonomi che hanno reinventato numerosi settori come il travel blogging o l’eCommerce. Ogni ricerca effettuata infatti, converge nel non trovare un’unica soluzione adatta per tutte le aziende, che dovranno personalizzare l’esperienza lavorativa, in base alla domanda ed all’offerta ricevuta. Ogni progetto potrebbe vantare una modalità diversa: smart working, home working, telelavoro, lavoro in presenza o da remoto e modalità ibrida, passando per il noto South Working, tendenza a non delocalizzare i lavoratori del Sud, senza la necessità di trasferirli fattivamente negli uffici del nord in pianta stabile. I vantaggi sono ampi: possibilità di lavoro più inclusive, con la forza della confort zone casalinga e di costi abbattuti tra trasferte ed alloggi. Qual è quindi la soluzione perfetta per rendere al meglio ed aumentare la produttività lavorativa diminuendo spese e costi? Sicuramente sfruttare i benefici di entrambe le facce della medaglia, con una commistione di esigenze e predisposizioni che possano sempre dare qualità al lavoro svolto sia in presenza che da remoto rendendolo agile e versatile, pronto a superare anche ogni pandemia.